Il Poliziottesco italiano
Ci voleva Venezia per creare un percorso cinematografico su quello che viene comunemente chiamato Trash? Forse no; certo, Tarantino che posa felice come un adolescente promosso a giugno accanto ad una sbigottita Barbara Bouchet, ha dato la scossa necessaria, soprattutto per il suo dichiarato amore per il genere. In interviste precedenti, infatti, l’attuale Guru di Hollywood si è spesso sperticato in lodi su alcune pellicole italiane, cannibalizzate nei suoi più noti capolavori. Siamo quindi tutti contenti che commissari duri e puri, sia con gli occhi di ghiaccio di Maurizio Merli sia con la carica umana di Philippe Leroy abbiano in questi giorni il giusto tributo di popolarità. Film come Milano Calibro 9, con un inedito Gastone Moschin noir, o tutta la lunga serie del commissario Tanzi (interpretato dal mai abbastanza compianto Maurizio Merli) che lo vede agire più o meno in tutta Italia: da Napoli che diventa violenta, a Roma, vissuta A mano armata.
Il genere ebbe una grande fortuna negli anni settanta. Erano gli anni della rinascita delle sale di quartiere, dello spettro del terrorismo politico, delle rapine e dei sequestri di persona. Una realtà difficile, come le cronache del tempo la descrivono, con tante analogie con i tempi di oggi, ma con una differenza sostanziale: la natura locale del fenomeno. Non un terrorismo su scala mondiale, ma di stampo regionale; non pellicole estere, ma una prolifica e preponderante produzione nazionale. Su tutto, l’ombra della criminalità dilagante, e la crescente frustrazione di uno Stato non in grado di sostenere lo scontro. A meno di singoli individui, paladini al limite del giustizialismo, che spesso finiscono per combattere il male con le sue stesse armi.
Scene di violenza a volte inaudita, quindi, offrono dei sottotesti a volte sorprendenti, come la riflessione – negli anni settanta più viva che mai – sulle tensioni sociali e politiche negli anni di piombo; sul desiderio di giustizia privata, da combattere non con le inadeguate armi di una giustizia ordinaria e burocratizzata, ma con l’individuale rispetto per gli altri e per i più deboli. Certo, è facile giungere a conclusioni di questo tipo dopo trent’anni, con una società profondamente cambiata e con tutt’altro ordine di problemi; d’altra parte, però, lo spirito collettivo di un’epoca può essere osservato con il necessario distacco solo da chi non lo vive più. Ciò che rimane è la perizia tecnica con cui venivano girate alcune sequenze: gli inseguimenti e le sparatorie hanno fatto scula in tutto il mondo, e alcuni personaggi hanno una caratterizzazione profonda e geniale: su tutti il Gobbo di Roma, interpretato da Tomas Milian, creato da Umberto Lenzi. Inoltre, come non citare le claustrofobiche scene di un sadismo parossistico, tremendo: la scena della villa in Milano Odia: La polizia non può sparare, in questo senso, è tra le più agghiaccianti mai girate; e Tarantino, nel girare a sequenza della tortura al poliziotto nelle Iene, doveva averla ben presente. Almeno a noi così è sembrato....
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