Ieri Vespa ci ha deliziato con un puntatone sulla disgraziata storia di Yara. Di fronte al dolore composto della famiglia, si torna alla TV dei plastici e del dolore. In barba a storie poco lontane da noi, le quali necessiterebbero di una seria focalizzazione dell'opinione pubblica.
La scorsa settimana si discuteva nel bel programma TvTalk sulla scarsa attitudine del servizio generalista italiano alla politica estera. Santoro, interpellato al telefono, ha puntato il dito sulla priorità che l'Auditel ha sull'utilità e completezza del pubblico servizio. Galli della Loggia, autore di un articolo uscito domenica sul Corriere della Sera, veniva interpellato in merito alla fine delle Elites nella composizione dei palinsesti; di qui la situazione anomala e tutta italiana di una TV pubblica che insegue le più basse e ventrali pulsioni dell'animo umano, in ottemperanza alla mission che vuole più ascolti=più successo. Come Belpietro, che non perde occasione di ricordarci che il mestiere di un direttore di Giornale è vendere copie (e non la deontologia professionale, garanzia di qualità di informazione).
Il fatto che la Libia (sopratutto) ci ricorda, però è un altro: in Libia, la ricchezza media della popolazione è superiore a quella Tunisina o Egiziana: quello che manca(va?) è una rappresentazione del paese reale, la dinamicità di un paese giovane, costretto e ingessato da una dittatura senile, anacronistica e feroce nella sua ostentazione.
Non si può limitare l'analisi di quanto sta accadendo all'antinomia tra democrazia e dittatura, o al discorso (sempre attuale in Italia) che il popolo si ribella quando ha la pancia vuota. Non è necessariamente vero, e i fatti del Maghreb lo hanno in parte dimostrato: il vento rivoluzionario (alimentato dalla giovane età media delle popolazioni coinvolte e dalla natura antistorica dei regimi rovesciati) sta accomunando realtà come quella Egiziana e Yemenita, Libica e Tunisina; stati e regimi diversissimi tra loro.
Concludendo: è davvero economicamente vantaggioso sacrificare l'intelligenza collettiva di un paese sull'altare del consumismo e degli interessi contingenti? E' vero - come dice Tremonti - che la cultura non si mangia?
Mentre ci interroghiamo su che fine faranno le azioni Fiat di Gheddafi, mentre è in essere un trattato di amicizia tra Italia e Libia, ci stiamo facendo rincoglionire da un'informazione inutile e martellante, che ci distrae dai nostri doveri civili e ci proietta in un agone in cui siamo tutti tenuti a dire la nostra, come se fossimo criminologi. Invece che rispettare il contegnosissimo dolore di una famiglia sfortunatissima, ci interroghiamo sui motivi che hanno portato un maniaco (o maniaca) a compiere un atto così bestiale. Ci stiamo facendo agitare come una folla forcaiola, mentre non ci stiamo formando una coscienza sul nostro futuro. Passiamo la nostra vita catodica a desiderare giustizia per una bambina morta, e non proviamo nemmeno ad immaginare i nostri diritti, doveri e le nostre opportunità di fronte allo scompaginarsi delle politiche nordafricane. Che ci riguardano molto più della piccola Yara.
Che riposi in pace.
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