venerdì 25 febbraio 2011

Libia in Fiamme

La Libia è alla guerra civile. Gheddafi fa sparare ad altezza uomo sui propri cittadini dall'esercito e da mercenari subsahariani. Il tutto passa come un vento di democrazia e libertà; la bella retorica di una volta, come quella che abbiamo già sentito negli anni novanta durante il crollo del sistema sovietico.
Le rivoluzioni, però, sono quasi sempre un cambio di guardia, un violento switch di classe dirigente, laddove la vecchia non vuole cedere il passo a quella nuova. Con quest'ultima che non sempre si dimostra migliore della precedente. Eltsin sul carro armato che straparla di democrazia è diventato il sistema oligarchico alla Putin. Se meglio o peggio di Gorbaciov, è tutto da dimostrare, e mi piacerebbe che qualcuno ci provasse: potrei imparare qualcosa di nuovo.
Ora sarà da vedere cosa accadrà, a livello diplomatico. Leggevo che il petrolio Libico è particolarmente puro, e quindi costa meno raffinarlo. Quindi, se la Libia dovesse chiudere i rubinetti, i prezzi dei carburanti (che sono i derivati del petrolio che necessitano maggio raffinazione) schizzerebbero verso l'alto. Sono stato abituato a considerare questo genere di informazioni come più importanti dei massacri tra i civili: tira più un metro di oleodotto che un carro di cadaveri.

L'Italia, ovviamente, si è ampiamente sputtanata grazie al nostro governo da operetta, che non ha esitato a stringere accordi con un dittatore sanguinario (che ci ha pure bombardato, tempo fa), in cambio di una stretta sui poveracci che vogliono scappare e di qualche firma su delle carte a favore dell'ENI. E tutto ciò senza risparmiarsi nulla: foto con baci ad anelli, amazzoni che si accampano a villa Borghese, una chiara unità di visione tra i due "Leaders Maximi". Solo che in Libia stanno cacciando via Gheddafi a calci in culo - forse perché è una popolazione giovane - mentre qui il parlamento applaude alle ammucchiate del capo del Governo. Forse perché siamo un popolo di vecchi, affamati di viagra, più che di decoro.

giovedì 24 febbraio 2011

Trapassaggio


Buongiorno, caro Etere.

In questo freddo febbraio, mi appropinquo all'ennesimo periodo di rivoluzione copernicana, nella mia breve e convulsa vita.
Dopo due anni, lascerò il mio blindatissimo posto di lavoro nel centro di Roma. Lo lascio in maniera controversa, con incomprensioni che mi recano molto dispiacere, in quanto - lo ribadisco - sono grato a chi mi ha fornito un lavoro che mi ha permesso di "scollinare"  un paio di anni difficili. Le cose non vanno mai come uno se le aspetta: è il bello della vita.
Quello che mi aspetta è una valorizzazione della mia natura intellettuale, e di questo sono contento. Però sono un po’ confuso. Forse ho paura. Paura di cambiare per l’ennesima volta. Paura di non riuscire ad onorare i miei impegni, i miei libri da finire, per esempio. Però sono qui, a fronteggiare i miei mostri. E che Dio me la mandi buona!