martedì 20 dicembre 2005

...Ascoltando Serenata a Maria....



Dario Argento ha dichiarato in una sua intervista, parlando di 4 mosche di velluto grigio che voleva (…) raccontare come non si conoscono mai veramente gli altri, non puoi conoscerli dentro: i protagonisti si sono sposati e si sono amati però lui di lei non ha capito niente, non sa nulla di lei[1].

In certe occasioni, si ha l’impressione di comprendere appieno i sentimenti di chi ci sta davanti, ma non ci si rende conto che in realtà sono proiezioni nostre, sempre. Anche quando non ci pensiamo.
Ci sono dei momenti in cui mi vieni alla mente prepotentemente, e questo accade generalmente quando mi metto a suonare la chitarra.

Sono assalito da un desiderio pulsante di prendere il cellulare e telefonarti, dirti che comunque ti voglio bene, anche se le contingenze non hanno permesso un rapporto sereno.

Poi, però, non lo faccio. Sai perché? Perché non capiresti il senso del discorso. Ma avresti l’arroganza non tanto di negare questo dato di fatto, ma di crederlo davvero, visceralmente. E assumeresti quel tono di chi sa benissimo qual è l’ordine delle cose, e si domanda come sia possibile che la persona che ha davanti non abbia la medesima facilità di comprensione.

Diventeresti spocchiosa, cattivella, con quella pazienza che il padre rassegnato offre al figlio un po’ cretino.

E’ sempre stato così, ed il mio torto maggiore, la colpa che non riuscirò mai  a perdonarmi, è di non aver tirato il morso quando era il momento. Di aver dimenticato che il rispetto va guadagnato con perseveranza, che non  va dato per scontato, solo per un cognome diverso, o per attitudini particolari.

Ti ho lasciata fare. Ho provato a “capirti”, calpestando me stesso, le mie pulsioni, i miei desideri, per poi sentirmi dare dell’egoista, del ragazzino, ed io lì, dietro, a prendermi tutti questi pesci in faccia, per amore.

Non ho capito niente di te, ci ho provato nella maniera sbagliata, e ti ho persa. Ho perso la tua considerazione, guadagnandomi quella di strani animaletti simpatici, cui ho imparato a voler bene, più per compiacerti che altro, e che mi interessavano in maniera relativa.

E nel frattempo tu eri chissà dove, ad aspettare un improbabile principe azzurro, mentre mi chiamavi per non dirmi niente, mentre mentivi a te stessa dicendoti che volevi vedermi, rimuginando non tanto sul senso di quelle parole, quanto sui tuoi pensieri che vagano, privi di freno, alla ricerca di un orgasmo che duri tutta una vita. E che non esiste.


[1] Dario Argento, in Antonio Tentori, Profonde Tenebre. Il cinema Thrilling Italiano 1962-1982, Granata Press, Bologna, 1992, Pagg. 33-34


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