venerdì 9 dicembre 2005

Tre articoli sul "Trash Movie" anni '70 - Horror


Horror

La storia del cinema horror comincia, più o meno, con quella del cinema stesso. La pellicola diventa terreno di sperimentazione per l’assurdo, l’impraticabile. A partire dal Voyage dans la Lune, il cinema ci mostra quello che il teatro non può. L’arte del montaggio si va via via raffinando, assumendo il ruolo centrale che le compete sin da subito. In quest’ottica, prende piede il genere Horror: la paura fa incasso. Si parte dall’espressionista Murnau, da Fritz Lang, fino ad arrivare – ci scusiamo del salto un po’ brusco - alle star della britannica Hammer, casa di produzione che conobbe una grande fortuna negli anni cinquanta (Peter Cushing, Boris Karloff, Béla Lugosi, Cristopher Lee) e Sessanta (con la consacrazione del grande Vincent Price). La battuta d’arresto della casa di produzione è per certi versi degna di attenzione. La straordinaria vena creativa si esaurisce, non riuscendo a tenere il passo coi tempi: lo si vede in una delle ultime opere marchiate Hammer: La leggenda dei sette vampiri d’oro; un tentativo di equilibrismo, prevedibilmente naufragato, di conciliare le atmosfere dell’horror britannico con quelle dei film di Kung Fu, a quei tempi molto apprezzati dagli spettatori. Le atmosfere gotiche, i decadenti castelli immaginati da Poe e immortalati da Fisher cedono il passo ad idee nuove: mostri che macellano un gruppo di ragazzi in una scampagnata, mostri che entrano nei sogni, mostri che uccidono solo ad Halloween. Il telefono, l’automobile e altri oggetti propri della realtà contingente, diventano strumenti di terrore.  E’ l’orrore ai giorni nostri, dove il sangue a fiotti sostituisce la solennità dell’interpretazione teatrale. Nasce lo splatter, genere che ha avuto negli anni ottanta e novanta il suo apice. E in Italia? Ci sono maestri del genere, apprezzati anche oltreoceano, sia nella regia che negli effetti speciali. Dario Argento e Lucio Fulci tra i primi, Sergio Stivaletti e Carlo Rambaldi tra i secondi. Il provincialismo espresso nel poliziesco e nel Thriller non è presente nell’Horror. Anche nei casi (numerosi) in cui si sceglie l’Italia come ambientazione, il fattore territoriale finisce per contare poco, se facciamo un eccezione per i due Horror Padani di Pupi Avati. Nel tipico film dell’orrore, infatti, la lotta tra bene e male è essenzialmente la battaglia contro il maligno, temuto a tutte le latitudini, sia esso rappresentato da streghe, dèmoni, mostri. Il male può colpirti sempre, dovunque. Non lo si vede, e quando ciò accade, è troppo tardi. Gli estimatori del film horror hanno molto materiale di riferimento. A parte le atmosfere Hammeriane già citate, c’è una florida filmografia, che copre tutte le aree della paura umana. I mostri di retaggio del romanzo romantico e decadente ottocentesco sono sostituiti da Jason, Freddy Krueger, Michael Myers, Leatherface. I sinistri manieri nelle cui viscere Vincent Price nascondeva orrendi segreti si trasformano in case moderne, in cui può andar via la luce, scatenando terribili massacri.  Per quanto attiene alla sfera italiana, oltre a Dario Argento e Pupi Avati, di cui abbiamo già parlato nel numero scorso, il nome di riferimento per quegli anni è Lucio Fulci. Maestro del genere, apprezzato, come già detto, anche oltreoceano, è autore di veri e propri capolavori; a parte Non si Sevizia un Paperino, afferente più al thriller e per questo trattato nell’articolo precedente, è degno di nota Sette Note in Nero, dove, con stile totalmente personale e mediante una sceneggiatura articolata e ben congegnata, riesce a tessere una storia in cui il senso temporale viene sovvertito, la percezione diventa vissuto, e il vissuto spiega la percezione. Il paranormale si infiltra nel quotidiano, fondendosi in un clima del tutto particolare e unico. La definizione horror, tuttavia, va un po’ stretta a quest’opera: se è vero che il soprannaturale la fa da padrone, è altrettanto vero che manca il “cattivissimo”, il mostro. L’uomo claudicante che murerà viva Virginia, è un’ombra non definita, sulla cui identità gira quasi l’intero impianto del film. Suspiria e Inferno, entrambi di Dario Argento, sono i due Horror italiani per antonomasia; Argento esce dal Thriller, e riesce a creare atmosfere plumbee e cariche di surrealismo gotico persino in un comune appartamento. Non rinuncia tuttavia ad allestimenti e luci inquietanti: in Suspiria, l’accademia di Danza di Friburgo nasconde un terribile segreto; in Inferno un vecchio palazzo risulta essere una dimora alchemica, costruita da un architetto-alchimista di nome Varelli, per la Madre delle Tenebre. Il genere, insomma, negli anni settanta comincia a prendere piede. Chiuso all’epoca dal Thrilling all’Italiana, conoscerà uno sviluppo più tardo, negli ottanta, con testimoni importanti. Su tutti, Michele Soavi, che con una fertile produzione, tra cui è degno di nota il premiato Deliria terrà alto il nome del cinema horror italiano. Ma sono altri anni, altri tempi. Un’altra storia, insomma.

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